Le poesie che non ho mai scritto

Giunti alla fine del sentiero la trovammo lí, di fronte ai nostri occhi sbarrati con la sua aura che è fonte di perdizione per noi comuni mortali. Capirla per capire chi siamo in questo bosco dove cavalieri erranti smarriscono la strada e la ragione. Mi voltai verso Mark, egli aveva estratto il quadernetto in cui racchiudeva le poesie per Cinzia, ne avrà scritte più di venti, una dedica alla Luna non può mancare, Cinzia metterà da parte la gelosia. Vorrei scrivere con l’immediatezza di Mark ma ho come delle zavorre che mi tirano giù, tra la terra e il cielo c’è una cupola di inettitudine. Di colpo ho cinque anni e conto le stelle con mio padre, una-due-tre-quattro-cinque…-nove-dieci; “Papà, prendiamo una barca e raggiungiamole”. La vecchia gitana per la strada mi lesse le carte, avevo una certa curiosità per queste forme di ritualità, se ne uscì con una minaccia incombente sulla vita, la mia o la nostra, non lo specificò. Mark di poesie sulla vita ne aveva da vendere, era cosi entusiasta nell’iniziare ogni giorno da declamarlo nelle sue fasi.

Di colpo l’aria diventò calda, Mark scrutava il cielo come se fosse alla ricerca di qualcosa. “Secondo te ce lo meritiamo tutto questo?” – ruotò il viso verso di me. “Non lo so” ribattei con noia, “Salire lassù potrebbe offrirci delle nuove prospettive sul tempo che abbiamo speso su questa terra, osserveremo il dramma collettivo da una posizione privilegiata, pur facendone parte”. Non ho mai visto Mark stare cosi male, aveva cambiato espressione, prima spettatore gioioso, ora imputato sconfortato. Tutto si fece più cupo, la parola cessò, i pensieri dilagarono incontrollati. Il tempo ci sfugge, il niente rimane, nulla siamo, nulla diventiamo, la vita è sofferenza, le passioni ci bruciano dentro, come stavamo nella tenera età, l’orizzonte è un limite immaginario, le catene montuose ci proteggono. Alzai ancor di più lo sguardo rassegnato, Mark, nel frattempo, aveva pianto, lo potei notare dai solchi che le lacrime avevano lasciato sul suo volto; mi travolse un’epifania sconvolgente e Cinzia era lì, in un fascio di luce, e veniva verso di me. Di donne con i seni piccoli ne ho avute molte ma i suoi capezzoli, al tatto turgidi e ruvidi, erano predisposti a farsi accarezzare e baciare, ci sentivamo più giovani della nostra generazione, come quella volta che ci unimmo all’ombra del primo sole primaverile nei giardini del palazzo reale. Mark assunse contorni drammatici, forse lo turbava l’avvenire, l’indomani avrebbe sposato Cinzia; io, invece, ancora in preda all’estasi della visione avrei continuato a fare congetture perverse su Cinzia ed altre donzelle, per poi giungere alla conclusione di non aver mai amato nessuna di loro e di non saper scrivere poesie come il mio amico Mark.

Francesco Stampati

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Caspar David Friedrich – Due uomini davanti alla luna (1819)

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